domenica 25 marzo 2012

Impatto dell’occupazione sovietica sulla popolazione dell’Estonia

Va innanzitutto ricordato, come elemento di raffronto, che prima della Seconda Guerra Mondiale gli Estoni nella propria nazione costituivano il principale gruppo etnico con l’88,1% sul totale di tutti gli abitanti. Tra il resto della popolazione c’erano solo 5 gruppi etnici che contavano più di 3.000 persone: i Russi (92.000, pari all’8,2%), i Tedeschi (16.300, pari all’1,5%), gli Svedesi (7.600, pari allo 0,7%) ed infine i Lettoni e gli Ebrei (0,5% ciascuno).
Come immediato risultato della guerra e delle riforme politiche, l’Estonia perse quattro dei suoi cinque gruppi di minoranze nazionali: nel 1945 gli Estoni, nonostante fossero nettamente diminuiti nel numero a causa della guerra stessa (circa il 17,5% in meno rispetto al 1939, a causa di morti e deportazioni), costituivano il 97,3% della popolazione complessiva. Ma precipitarono al 74,6% nel 1959.
Alla fine degli anni 1980 più di un terzo della popolazione dell’Estonia non era più etnicamente estone; il 26% era nato al di fuori della repubblica, per la maggior parte di etnia russa o di comunità che comunque avevano come riferimento culturale di comunicazione la lingua russa.
Il picco dell’immigrazione era avvenuto tra il 1946 ed il 1951, con un arrivo di 20.000 nuovi abitanti ogni anno, pari al 2% dell’intera popolazione. Il fenomeno dell’immigrazione continuò durante tutto il periodo della dominazione sovietica, scendendo in percentuale ed arrivando alla vigilia dell’indipendenza ad una percentuale compresa tra lo 0,2 e l’1% annuo.
Gli immigrati arrivavano da tutta l’Unione Sovietica, ma la maggior parte proveniva dalle regioni russe confinanti di Leningrado e di Pskov. I motivi della decisione di trasferirsi in Estonia erano molteplici: un più alto livello di vita, l’occupazione, alloggi migliori ed una maggiore disponibilità di beni di consumo. Una fuga dalla povertà e dalla fame, soprattutto negli anni successivi alla guerra, incentivata dal fatto che si poteva rimanere anche dopo aver raggiunto l’età della pensione. Arrivarono anche alcuni intellettuali, attratti da una minore restrizione ideologica rispetto ad altri posti dell’URSS.
Ovviamente gli incentivi economici svolsero un ruolo importante, e sembra che la maggior parte dell’immigrazione non sia stata gestita dallo Stato. Al contrario, il governo sovietico aveva imposto numerose restrizioni in materia di migrazioni interne, ma d’altra parte la politica economica e di sviluppo fungeva da attrazione per i nuovi immigrati, soprattutto verso le città e nell’area a nord-est.
Molti immigrati erano naturalmente degli specialisti nel loro campo, ma per la maggior parte si trattò di persone con qualifiche relativamente basse, con scarse prospettive di miglioramento, in quanto l’opportunità di proseguire negli studi superiori in lingua Russa, nell’Estonia sovietica, era davvero limitatissima. Gli immigrati, così, finirono per essere sovrarappresentati nel lavoro industriale e sottorappresentati nelle professioni più qualificate. Ancora oggi la minoranza di lingua russa non è riuscita a costituire una classe politico-culturale, sebbene in Estonia abbiano vissuto e lavorato a lungo vari intellettuali russi di fama mondiale, come ad esempio il semiologo Juri Lotman e lo scrittore Sergej Dovlatov. Anche Alessio II, per lungo tempo capo della Chiesa ortodossa russa, veniva dall’Estonia.
A causa di barriere linguistiche e culturali, le tensioni interetniche e tutti i possibili pregiudizi sono rimasti relativamente isolati dalla società estone. Inoltre c’è da dire che una buona parte dei russofoni andò via dall’Estonia entro i primi due anni dalla proclamazione dell’attuale repubblica, in quanto non interessati ad una possibile integrazione: l’esistenza di un sistema scolastico in lingua russa aveva contribuito a mantenere viva o costruire una identità russa, ma il mancato approccio con la lingua estone di fatto aveva sostenuto l’evoluzione di una sorta di società parallela.
L’immigrazione contribuì al recupero dalle sofferenze della guerra e riempì le perdite permanenti di popolazione della prima metà degli anni 1940. Fu necessaria per lo sviluppo dell’economia in condizioni di crescita estensiva, ma per gli Estoni determinò anche una crescente paura di essere completamente russificati e di perdere la loro identità nazionale.

2 commenti:

  1. Per far comprendere meglio il peso dei dati che hai pubblicato ho fatto un raffronto con la nostra situazione utilizzando la demografia ufficiale ISTAT dell'ultimo secolo.
    È come se una minoranza etnica (non particolarmente benvista e benvoluta) che nel 1934 contasse poco meno di 3,5 milioni di abitanti salisse, nel 1989, a 17,2 milioni. Spero di aver reso l'idea.

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    1. @lituopadania - Osservazione appropriata e convincente. Come ulteriore elemento di paragone, si immagini che la popolazione autoctona nel contempo è scesa sia in termini percentuali, che in numeri assoluti. Facendo le analoghe proporzioni, è come se i locali nel 1934 nel frattempo fossero stati 37,5 milioni, per scendere a 35,2 milioni nel 1989.

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