giovedì 20 febbraio 2014

18 febbraio 2014: il doloroso trattato dei confini Estonia-Russia

PREAMBOLO
>>> Nel 1920 la Russia sovietica aveva firmato a Tartu un trattato nel quale riconosceva l’indipendenza dell’Estonia e la sua sovranità entro il territorio indicato sulla mappa illustrativa in marrone ed in verde scuro. 
>>> Nel 1946, dopo la forzata aggregazione dell’Estonia all’Unione Sovietica, Stalin in persona decise di trasferire l'amministrazione dei territori in verde scuro dalla RSS Estone alla RSFS Russa: l’Ingria occidentale passò con la Regione Leningradese e la Contea di Petseri fu unita alla Regione di Pskov. 
>>> Nella prima metà degli anni 1990, con la fine dell’URSS, nacque un contenzioso sulla linea di confine tra Estonia e Russia. La posizione di Tallinn era imperniata sul riconoscimento del Trattato di Tartu del 1920. La posizione di Mosca invece era impostata sul rispetto della situazione di fatto ereditata con la fine dell’URSS e sul disconoscimento del Trattato di Tartu, che comunque era stato firmato dalla Russia sovietica e non dalla nuova Federazione Russa.
OGGI
Il 18 febbraio 2014 i ministri degli affari esteri dei due Stati, Urmas Paet per l’Estonia e Sergei Lavrov per la Russia, hanno firmato a Mosca il trattato dei confini. Per dirla senza giri di parole, l’Estonia si rassegna a riconoscere la posizione della Russia, con minuscole rettifiche territoriali nel sud-est, che porteranno all’uscita dall’isolamento di alcuni centri abitati ed al miglioramento della rete viaria in entrambi gli stati a ridosso delle rispettive zone confinarie. In cambio la Russia promette un miglioramento delle relazioni reciproche e garantirebbe una distensione nei movimenti delle persone, degli investimenti e dei capitali. 
Prima di scrivere questo brano per i lettori italiani, ho voluto attendere alcuni giorni, per esaminare bene i preparativi, per accertarmi che il trattato fosse stato davvero firmato da entrambe le parti (per due volte, negli ultimi 20 anni, si era arrivati davvero vicino alle firme, ma poi era saltato tutto) e soprattutto per capire bene le sensazioni degli Estoni comuni a quanto veniva a loro imposto dall’agenda politica internazionale.
L’idea generale, confermata da un sondaggio di postimees.ee, è che si tratti di un episodio doloroso, ma utile. I pessimisti dicono che è una vergogna nazionale, una resa al regime totalitario di Putin, un’offesa alla storia. Gli ottimisti invece profetizzano un ammorbidimento del vicino totalitario e la risoluzione di tale questione, con un atto formale sottoscritto da entrambi, comunque servirà a placare i propositi bellicosi della Russia di Putin. Tanto gli ottimisti, quanto i pessimisti, sembrano d’accordo sul fatto che la Russia sia un vicino pericoloso ed aggressivo. 
Fra i tanti commenti, ho trovato molto sensato quello dell’opinionista Mikk Salu, che provo a riassumere. 
La storia insegna che i confini si cambiano solo dopo le guerre. L’Estonia è un Paese piccolo e non molto popolato, mentre la Russia è ancora lo Stato più esteso del mondo. Essa stessa è un vero e proprio pezzo di mondo. Vogliamo fare la guerra alla Russia? Nel 1918 l’Estonia ha già avuto la sua grande occasione, ovvero la fortuna di approfittare di un momento storico favorevole (collasso dello zar, guerra civile in Russia e concomitante sconfitta della Germania nella Prima Guerra Mondiale) per trovare l’indipendenza. Tale fortuna non l’hanno avuta altri popoli (i Circassi, i Careliani o i Ceceni, aggiungo io). 
Dopo la fine dell’URSS, l’Estonia ha poi avuto la fortuna di riuscire a mandare via dal proprio territorio tutti i militari russi, cosa che non ha potuto fare per esempio la Moldavia (ancora occupata dai Russi oltre il fiume Dniester) o l’Ucraina (dove i militari russi sono di stanza ancora a Sebastopoli). Le sfide che ci riserva il futuro sono molto più importanti della questione se avere il confine orientale lungo il fiume Narva o 5 chilometri più avanti, dove comunque gli abitanti sono ormai tutti russi e dove si dovrebbero costruire fortificazioni. 
In verità c’è ancora il Giappone ad ostinarsi a non voler firmare il trattato di pace con la Russia, perché Tokyo è offesa dall’occupazione russa delle isole Curili che l’Impero del Sol Levante considera abusiva. Ma il Giappone, essendo uno Stato grande, moderno, preparato e molto popolato, può permettersi il privilegio di mantenere un simile atteggiamento di fronte alla Russia. L’Estonia, invece, senza questo trattato rischiava di fare la fine della Georgia nel 2008: invasione, uccisioni di abitanti e bombardamenti da parte dell’esercito di Mosca, che continua ancora oggi a mantenere in stato di occupazione un quarto del territorio dello Stato di Tbilisi, dove di fatto ci sono due nuove repubbliche secessioniste.


Välisminister Urmas Paet ja Venemaa välisminister Sergei Lavrov allkirjastasid täna, 18. veebruari hommikul Moskvas Eesti-Vene riigipiiri ning Narva ja Soome lahe merealade piiritlemise lepingu.

4 commenti:

  1. L’incubo che ancora perseguita tutti gli estoni (compresa la generazione dei giovani che sono nati dopo la fine del periodo sovietico) è di svegliarsi la notte e ritrovarsi invasi dai russi, oppure di ritrovarsi all’improvviso i carri armati russi, oppure di accendere la televisione ed apprendere che la Russia ha invaso l’Estonia. Diversi intellettuali estoni, in più d’una occasione, mi hanno addirittura confidato che prima o poi accadrà. Non si sa se tra un mese, un anno o cinquant’anni, ma accadrà.
    La corsa dell’Estonia verso la NATO, l’Unione europea e l’euro è servita per prendere tempo, nella speranza che magari il tempo possa stemperare le velleità più cruente di Mosca e che la Russia impari a guardare alle repubbliche baltiche così come la Colombia guarda Panama o come la Francia guarda il Lussemburgo.
    Il ministro estone Urmas Paet, come si vede anche nella foto, avrebbe preferito morire, piuttosto che stringere la mano al suo omologo russo in un episodio che rischia di essere lasciato in eredità al futuro come tradimento (nell’ottica estone) o come sintomo di paura di Tallinn (nell’ottica russa).
    Ma tant’è, l’Estonia ora ha abbandonato anche il sogno romantico di riavere Petseri, sacrificata in nome di una regolarizzazione della sua posizione in Europa e delle sue relazioni internazionali. Petseri sarà come il Sudtirolo per gli austriaci o il monte Ararat per gli armeni: qualcosa di fortemente proprio, anche se irrimediabilmente fuori dal recinto dello stato. Ma forse aiuterà a restare liberi ed indipendenti.

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    1. Le vere vittime di questa linea di demarcazione ora riconosciuta da entrambe le parti sono i Setos, poco numerosa popolazione baltofinnica che vive proprio a cavallo della frontiera. Avendo perduto anche il sogno di poter vivere in un territorio omogeneo, ora rischiano davvero di finire assimilati e di avere un destino simile ai Livoni ed agli Ingri: l’estinzione.

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  2. Grazie mille Gio! Come sempre, informatissimo e preciso, ci hai dato un'idea più chiara della situazione.

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